giovedì 24 luglio 2014

Generazione Metropolitana

Sono quartese da diverse generazioni. E in queste condizioni ho potuto conoscere i racconti di una città che in pochi anni è passata dall’essere un piccolo paese agricolo a un grande centro di servizi. Da quando ci voleva un’intera giornata di cammino per andare e tornare da Cagliari, sono cambiate parecchie cose.

Quartu è cresciuta a dismisura, in particolar modo negli anni ’80. La speculazione edilizia ha fatto nascere interi quartieri come Pitz’e Serra, e ha portato la popolazione da 30mila a 60mila abitanti nello spazio temporale di vent’anni (censimenti 1971-1991). Oggi gli abitanti sfiorano le 70mila unità, ma la città non è ancora riuscita a modificare la visione e la prospettiva di sé stessa. Rimane condizionata dal suo campanilismo e dal suo primordiale spirito agricolo e vive il confronto con il territorio circostante con conflittualità. Pesa l’assenza nel dibattito cittadino dei neoquartesi, principalmente cagliaritani trasferitisi nel nostro borgo, che faticano a vivere la città con protagonismo.

Proprio loro possono essere i promotori del cambiamento di questa città verso una dimensione metropolitana; una nuova cittadinanza dove il confine tra quartese, cagliaritano, selargino, etc. è sempre più labile e indefinito. L’incremento del numero di abitanti ha generato una crescita dei servizi tale che oggi non ci sono solo i quartesi che lavorano a Cagliari, ma anche i cagliaritani che lavorano a Quartu. Il nuovo cittadino dell’Area Vasta è quindi metropolitano.

Un contributo significativo in questo cambio di visione possono e devono darlo quei cittadini che fanno parte della cosiddetta generazione Erasmus, cioè quei giovani e meno giovani che hanno visto il mondo e hanno sviluppato uno sguardo aperto verso tutte le realtà che ci circondano. Loro, insieme ai neoquartesi, formano la Generazione Metropolitana.

http://cambiamoquartu.wordpress.com/2014/07/21/generazione-metropolitana/

lunedì 21 luglio 2014

Le responsabilità dell'Europa in Medio Oriente

L'Europa ha grandi responsabilità per quanto avviene ed è avvenuto in Medio Oriente.

Israele è la testa di ponte che gli assicura il controllo di una regione ricca di risorse energetiche, pur nel rispetto del principio di autodeterminazione dei popoli. Allo stesso tempo gli consente di lavarsi la coscienza da una secolare cultura antisemita che ha generato i marrani, i ghetti e infine l'Olocausto. Due piccioni con una fava.

Non riesco quindi a indignarmi verso due popoli che storicamente lottano per la loro sopravvivenza.

Mi indigno invece per il redivivo spirito colonialista che anima l'Occidente. Dietro i propositi di una missione civilizzatrice, sin dall'Ottocento si è sentito autorizzato a depredare popoli lontani delle loro risorse, imponendo usi e costumi, spesso stravolgendo l'ordine costituito. Oggi appoggia governi comodi a rappresentare i suoi interessi ed Israele è uno di questi.

Mi indigno anche per l'Oremus et pro perfidis Judaeis praticato dalla Chiesa Cattolica dal VI sec. fino al 1958. Di fatto una legittimazione a tutto il disprezzo verso un popolo accusato di essere deicida. Il sionismo è la naturale e giustificata conseguenza di un popolo perseguitato alla ricerca della sua salvezza.

Per questi motivi, di fronte alle immagini e alle urla che provengono dal Medio Oriente, l'Europa non può girarsi dall'altra parte, non può puntare il dito verso nessuno, se non verso sé stessa.
La Dichiazione Balfour del 1917.
Il governo britannico riconosce il diritto ai primi insediamenti ebraici in Palestina