venerdì 13 luglio 2007

La rivoluzione digitale - Atto II: l'involuzione

La TV digitale è destinata a diventare, per legge, l'unico modo di trasmettere programmi televisivi. Lo switchover avrà luogo, in momenti diversi, tra il 2008 ed il 2012, in Italia, in tutta Europa ed in USA, decretando la fine del segnale analogico. Sia la televisione satellitare, sia la televisione digitale terrestre, sia la televisione via cavo, sia la televisione via Internet, sia la televisione su dispositivi mobili utilizzano infatti un protocollo di trasmissione digitale del segnale.
I risultati "visti" finora, come già detto nel post precedente, stanno lasciando un'espressione perplessa sul volto di tutti i cittadini della Sardegna e Val d'Aosta, ma non è questo l'aspetto più drammatico.
Nel primo post si discuteva sulle motivazioni che hanno spinto all'adozione del digitale. Si è parlato anche di un'ipotetica possibilità per nuovi soggetti di affacciarsi nel panorama radiotelevisivo. All'orizzonte invece non un processo di liberalizzazione nel mondo radiotelevisivo, bensì un panorama potenzialmente involuto.

Il digitale risulterà meno accessibile della vecchia Tv analogica: il DVB Project

Fondato nel 1993, il DVB (Digital Video Broadcasting = TV digitale) Project è un consorzio CHIUSO di 260 aziende che sviluppano gli standard necessari alla trasmissione digitale del segnale in molti Paesi del mondo: DVB-S (satellitare), DVB-C (via cavo), DVB-T (digitale terrestre), DVB-H (sistemi mobili). Le aziende che fanno parte del DVB Project rappresentano la maggioranza dei produttori mondiali, per cui gli strumenti tecnici da loro prodotti rispondono solo ed esclusivamente agli standard da loro stessi definiti. Anche se non esiste una legge, si può dire che il DVB Project ha, attraverso la tecnica, stabilito una legge. Chi volesse trasmettere segnali audio e video digitali nel mondo deve sottostare agli standard del DVB Project. A meno di utilizzare prodotti e standard alternativi, con tutti i problemi e le difficoltà connesse. Ma il dramma non è finito. Se all'inizio il DVB si occupava di sviluppare standards e il loro interesse terminava laddove avveniva la ricezione del segnale, a partire dal 2003 il DVB si è dedicato, spendendo sempre più energie col tempo, ad un nuovo progetto, il progetto CPCM, che mina il principio di libertà in molti campi. Il CPCM, acronimo che sta per "Content Protection and Copy Management", è un progetto che, a detta del DVB Project, sarebbe destinato a proteggere i diritti legali dei produttori di contenuti, ma che in realtà prevede alcuni gravi, quanto assurdi, vincoli che rappresentano, potenzialmente, una forte limitazione alla competitività nell'industria tecnologica, allo sviluppo, alla crescita artistica, alla libertà di informazione, ai diritti del consumatore. Il CPCM, spacciato dal DVB come un sistema in difesa del copyright, andrebbe a difendere dei diritti che non sono previsti da alcun sistema nazionale di copyright, né dalla Convenzione di Berna. Ancora, le possibilità di azione da parte del DVB consentirebbero di operare anche forme di censura su contenuti scomodi, ovviamente sotto la direzione del potere politico di turno. Si tratta di forme di controllo operate attraverso un monopolio tecnologico e con l'uso di vincoli implementati sia a livello software che hardware, vincoli ineludibili neppure a livello teorico.

- Le critiche al DVB mosse dall'EFF (Electronic Frontier Foundation)
- Iniziativa per la diffusione di queste informazioni volte a proteggere la televisione digitale

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